Bolsonaro ha pianificato il tentato golpe del 2022, resa nota l’ipotesi accusatoria della Polizia

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Tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023, il Brasile sarebbe stato a un passo dal perdere le istituzioni democratiche per mano di militari e funzionari di governo contrari al ritorno di Luiz Inacio Lula da Silva al potere. Un piano, scrive la Polizia federale nel rapporto conclusivo delle indagini iniziate nel 2019, che l’ex presidente Jair Bolsonaro avrebbe “pianificato” e “controllato in maniera diretta”, risultandone il principale anche se non unico beneficiario. Il documento di 884 pagine compilato su istruzione del giudice della Corte suprema (Supremo tribunal federal, Stf), Alexandre de Moraes, dovrebbe essere ricevuto oggi dalla Procura generale, il cui titolare, Paulo Gonet, dovrà ora decidere se usare come leva per rinviare a giudizio Bolsonaro e altri 36 imputati, chiedere nuove prove agli inquirenti o archiviare il caso. La causa, coinvolgendo alte personalità istituzionali, verrebbe eventualmente trattata dalla stessa Corte suprema, in una sezione che si ritiene sfavorevole a Bolsonaro. Il dossier, da cui martedì il giudice Moraes ha deciso di rimuovere il segreto istruttorio, riassume le prove ottenute dai numerosi filoni di indagine aperti sul caso. Elementi, si legge nelle conclusioni, “che evidenziano l’azione di un’organizzazione criminale che dal 2019 ha iniziato a sviluppare azioni volte a destabilizzare lo Stato democratico di diritto”, per mantenere Bolsonaro “al potere”.

I media concentrano il lavoro degli inquirenti in alcuni punti fondamentali. La notizia principale sta nell’ipotesi che Bolsonaro abbia “pianificato, eseguito e avuto il controllo diretto ed effettivo degli atti realizzati dall’organizzazione criminale il cui obiettivo era quello di concretizzare un colpo di Stato e l’abolizione dello Stato di diritto”. Tanto che se il piano non è andato a buon fine “è stato per circostanze estranee alla sua volontà”, il mancato sostegno delle Forze armate. Il piano avrebbe avuto un momento culmine il 15 dicembre 2022, giorno in cui l’ex presidente avrebbe dovuto firmare il decreto per lo Stato di emergenza. Bolsonaro avrebbe presentato da ultimo la bozza del provvedimento (contenente i dettagli della normativa utile a decretare lo Stato di emergenza, lo stato di assedio e le leggi speciali) nel corso di una riunione tenuta nella residenza presidenziale, Palacio do Alvorada, una settimana prima.

Per invitare i militari a sostenere il piano, a fine novembre 2022, sarebbe anche circolata una lettera di cui Bolsonaro sarebbe stato “perfettamente a conoscenza”. Di più, tra le intercettazioni presentate dalla Polizia ce ne sono di chi ricorda che l’ex presidente aveva dimestichezza col tema, dato che nel 1986, quando era capitano dell’esercito, era stato condannato per aver elaborato un piano per destabilizzare i vertici militari. Alla fine Bolsonaro avrebbe però capito di non poter contare “sul fondamentale appoggio del braccio armato dello Stato”: al sostegno assicurato dai vertici della Marina (che avrebbe messo a disposizione anche i “blindati”) e dal ministro della Difesa, Paulo Sergio Nogueira, non sono seguiti – “nonostante tutte le pressioni esercitate” – quelli del comandante dell’Esercito, Freire Gomes, e dell’aviazione militare, Baptista Junior. Tutti rimasti “fedeli alla difesa dello Stato di diritto”, assicura la Polizia.

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Il tentato piano sovversivo avrebbe previsto anche il tentativo di sequestrare o “uccidere” Lula, l’allora vice presidente eletto Geraldo Alckmin oltre che Moraes. Strategia affidata a un corpo speciale di militari – “kids pretos” – che, allo scopo, hanno seguito per due mesi i movimenti di Lula, anche avvalendosi di uomini al suo servizio. L’operazione dei “kids pretos”, chiamata “pugnale verde e giallo”, sarebbe stata illustrata nei dettagli in un documento stampato il 9 novembre nella residenza Alvorada, nuova prova del coinvolgimento del leader conservatore. Incassato il fallimento della strategia “golpista”, l’ex capo dello Stato avrebbe messo in pratica, a fine 2022, un “piano di fuga” pronto dall’anno prima. “Jair Bolsonaro, dopo non aver ottenuto l’appoggio delle Forze armate per consumare la rottura dell’ordine costituzionale, è uscito dal Paese per evitare un possibile arresto e attendere gli esiti del colpo di Stato dell’8 gennaio del 2023”, giorno in cui migliaia di manifestanti invadevano la piazza dei Tre poteri, a Brasilia, violando le sedi del Parlamento, della Presidenza e della Corte suprema.

La “fuga” negli Stati Uniti, che avrebbe evitato a Bolsonaro la cerimonia di passaggio di consegne con Lula, è peraltro oggetto di altri due segmenti di indagine. Una su presunto abuso di potere e falsificazione di atti pubblici, dato che l’ex presidente, come aveva abbondantemente fatto capire, non aveva il vaccino contro il Covid 19, allora necessario per gli Usa. Documento che sarebbe invece comparso con tempi e modalità sospette. E sarebbe per garantirsi fondi necessari a vivere negli Stati Uniti per un periodo allora non precisato, che Bolsonaro – altro filone di indagini – avrebbe cercato di vendere i regali ricevuti durante le visite di Stato all’estero, mai finiti nell’archivio di Stato e sotto gli occhi del fisco.

Altro pezzo fondamentale delle indagini è quello legato alla creazione di un clima mediatico e popolare in grado di intaccare la credibilità delle istituzioni. Una strategia preparata da tempo, ipotizzano gli inquirenti denunciando la presunta campagna di disinformazione in internet già oggetto delle indagini sulle cosiddette “fake news”: centinaia di profili sulle reti sociali impegnati a gettare discredito sulle istituzioni, sui magistrati della Corte suprema e dei loro familiari. Manovre analoghe, per arrivare alla chiusura del Parlamento e della Corte, premesse per un possibile ritorno alla dittatura militare, sono finite nell’inchiesta sulle cosiddette “milizie digitali”. In questo senso appare rilevante l’ipotesi di un altro operativo (Operacao 142) riassunto in un manoscritto che allude a un D-Day: si mette conto di tenere un discorso a reti unificate, di “interrompere il processo di transizione” di potere, di “annullare gli atti arbitrari della Corte suprema”, di “invalidare le elezioni” e di “mobilitare giuristi e opinion makers”. Inoltre, si proponeva di rinnovare per intero i vertici della magistratura, concludendo con l’obiettivo finale: “Lula non sale la rampa”.

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