Non ci poteva credere, il ministro della Difesa italiano, costretto da mesi a giocare di rimessa rispetto ai Dottor Stranamore che sui social gli rinfacciano troppa cautela in Medio Oriente e in Ucraina, quando ha potuto sfoderare di nuovo la parlantina dell’uomo d’ordine. Della destra che la guerra la sa fare, ma agli studenti liceali. È successo quando tre settimane fa degli attivisti e militanti pro Palestina hanno occupato la sede di Leonardo in corso Francia a Torino, per denunciare la presunta complicità del colosso militare italiano con il conflitto in Gaza.
Un’azione dal messaggio chiaro: Leonardo Spa contribuisce al genocidio del popolo palestinese attraverso il supporto alla forza aerea israeliana, fornendo assistenza tecnica e materiali per aerei addestratori. Secondo le dichiarazioni degli attivisti, l’azienda ha anche fornito sistemi per bulldozer blindati usati per demolire abitazioni palestinesi. Guido Crosetto non ci ha pensato due volte e usando Twitter (o X) ha definito i manifestanti “pericolosi eversivi”, sottolineando nella sede occupata i ragazzi si stavano abbandonando ad atti di vandalismo e interferendo con riunioni di lavoro importanti, inclusi membri della Difesa.
Crosetto però non è riuscito a smentire l’accusa che i manifestanti rivolgono allo Stato italiano: avrebbe dovuto, infatti, smentire l’evidenza, ossia che Leonardo ha continuato a fornire assistenza all’esercito israeliano, anche post-7 ottobre, data in cui è iniziata una rappresaglia a Gaza che ha fatto 120mila morti, in larga parte donne e bambini, dando il via a una pericolosa escalation regionale.
Dopo le recenti operazioni belliche, Leonardo ha confermato di aver fornito assistenza tecnica a Israele per la flotta di velivoli M-346, e si stima che l’azienda abbia un valore di circa sette milioni di euro previsto per attività logistiche verso questi aerei nel 2024. Le affermazioni del Governo italiano sostengono che le licenze per materiale bellico concesse prima del 7 ottobre sono state utilizzate esclusivamente per “materiali non letali”. Tuttavia, un’analisi incrociata di rapporti di esportazione e dati ISTAT ha rivelato che, tra ottobre e dicembre 2023, l’Italia ha esportato verso Israele 2,1 milioni di euro in armi e munizioni, con ulteriori 16,7 milioni di euro in prodotti aerospaziali, suggerendo una continuazione delle esportazioni anche dopo l’inizio del conflitto. Inoltre, le aziende italiane sembrano continuare a fornire vari materiali militari, tra cui pezzi per F-35 e droni che possono avere applicazioni belliche.
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L’export di armamenti italiani verso Israele include armi significative come proiettili, sistemi per droni, e componenti aeronautici, con evidenze di transazioni attive anche dopo il 7 ottobre. Dati ISTAT e rapporti annuali del governo indicano che le esportazioni non solo sono proseguite, ma potenzialmente hanno incluso armi impiegate nei conflitti che hanno avuto ripercussioni dirette sulla popolazione civile di Gaza.
Di fronte all’ambigua comunicazione del Governo rispetto alle attività di Leonardo, sono solo pochi i giornalisti e i politici che hanno chiesto di far luce. Quando si era fatta avanti la segretaria del PD, Elly Schlein, a proporre la sospensione delle armi a Israele, uno dei più ascoltati opinionisti di centrosinistra, Mattia Feltri, sulla Stampa, è subito accorso a fare ironia e a minimizzare: («è una faccenda di mercato», «briciole») così da indirizzare i lettori verso una cinica accettazione dello status quo. Ci sono volute le inchieste di Altraeconomia, tra gli altri, a confermare che l’Italia ha continuato a dare una mano a Israele anche mentre si verificavano violenze brutali a Gaza e pulizia etnica in Cisgiordania.
Mentre i gruppi di pressione filoisraeliani radicali e di estrema destra accusano i ragazzi che protestano addirittura di antisemitismo – svilendo sempre di più il concetto – per aver osato pronunciare la parola “genocidio”, il Governo ignora la vicenda. Ma le proteste fanno emergere la collusione morale dell’Italia nel conflitto, e invocano una maggiore responsabilità e trasparenza in merito all’industria bellica e alle sue connessioni con conflitti nei teatri di guerra a noi vicini. Non sono gli studenti di Torino ad essere estremisti, ma tutto l’apparato propagandistico che sostiene l’industria delle armi.
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