Nei procedimenti penali per i reati di omicidio e lesioni personali, soprattutto in tema di infortuni sul lavoro, ha assunto importanza l’istituto della cooperazione nel delitto colposo disciplinato dall’art. 113 c.p.
Riveste, quindi, particolare rilievo l’ampia analisi svolta dalla sentenza n. 43717 depositata ieri dalla Cassazione, chiamata a valutare la concorrenza di distinte condotte colpose nell’esecuzione di un appalto privato da cui era derivato un evento mortale.
Nei giudizi di merito, veniva riconosciuta la responsabilità del titolare della ditta appaltatrice e del suo dipendente, manovratore di gru a torre per trasportare materiale edile sull’edificio in costruzione, in relazione al decesso per schiacciamento di un lavoratore autonomo il quale, mentre era a terra intento a caricare sulle forche di sollevamento della gru il materiale, veniva investito dal carico precipitato per un improvviso cedimento della fune della macchina operatrice.
In particolare si ascriveva: al datore di lavoro l’omessa formazione, informazione e vigilanza sul personale incaricato di movimentare la gru; al dipendente di aver manovrato il mezzo senza possedere le specifiche competenze, compiendo manovre e operazioni tali da compromettere la sicurezza propria e dei lavoratori che si trovavano nelle vicinanze della macchina, senza aver prima verificato che nell’area di manovra della gru non sostassero altri lavoratori.
La Cassazione ha confermato la responsabilità di entrambi richiamando il consolidato orientamento di legittimità in tema di cooperazione colposa, quale disciplina che ha una funzione estensiva dell’incriminazione rispetto all’ambito segnato dal concorso di cause colpose indipendenti, comprensivo anche di condotte atipiche, agevolatrici, incomplete, di semplice partecipazione, che per assumere concludente significato hanno bisogno di coniugarsi con altre condotte (Cass. n. 16978/2013), precisando che non è necessaria la consapevolezza della natura colposa dell’altrui condotta (Cass. n. 49735/2014), essendo invece sufficiente la mera conoscenza dell’altrui partecipazione, intesa come consapevolezza del fatto che altri sono investiti in una determinata attività, con conseguente interazione rilevante anche sul piano cautelare, di talché ciascuno è tenuto a rapportare prudentemente la propria condotta a quella altrui (Cass. n. 15324/2016).
Sul punto, necessita peraltro un rilievo, su cui la Suprema Corte non si sofferma, relativo al rischio di eccessiva estensione della cooperazione qualora connessa alla mera consapevolezza dell’altrui condotta colposa.
Pertanto, è bene ricordare che, per l’integrazione della fattispecie di cui all’art. 113 c.p., occorre che il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, almeno, sia contingenza oggettivamente definita senza incertezze e pienamente condivisa nella consapevolezza. Qualora i compartecipi agiscano simultaneamente secondo uno specifico e convergente modulo organizzativo connesso alla gestione del rischio, ciascuno di essi deve intervenire, non solo individualmente in modo appropriato, ma deve anche adoperarsi efficacemente per regolare e moderare la condotta altrui, ponendo così in essere un’azione di reciproca vigilanza (Cass. n. 36280/2012).
Nel caso di specie, la Cassazione ha confermato la sussistenza di un’ipotesi di cooperazione colposa nella condotta del lavoratore, il quale, trovandosi a operare in una situazione di rischio immediatamente percepibile e, pure non rivestendo una posizione di garanzia, ovvero rivestendo una mansione che, consapevolmente, non era in grado di assolvere correttamente per deficit formativi attribuibili al datore di lavoro, abbia con esso concorso, con il proprio operato, ad aggravare il rischio di verificazione dell’evento.
Per l’intersecazione dei ricorsi delle parti civili e degli imputati, la Corte ha dovuto valutare anche l’eventuale concorso, ai fini della causazione dell’evento, di ulteriori condotte colpose.
In particolare, è stata valutata la posizione del coordinatore per la sicurezza – titolare di posizione di garanzia – il cui ruolo in cantiere, per consolidata giurisprudenza, non va inteso come presenza e sovraintendenza giornaliera e costante. Per tale figura, la Cassazione ha annullato la pronuncia di responsabilità con rinvio ad altro giudice di appello che si dia carico di determinare le eventuali carenze del piano di sicurezza e coordinamento e la loro efficienza causale nell’evento.
Analoga decisione viene presa per il committente, anch’esso in posizione di garanzia. La responsabilità di tale soggetto si fonda sulla valutazione della preliminare attività di selezione dell’impresa appaltatrice – e della incidenza di questa nella causalità dell’evento lesivo –, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori, nonché alla agevole e immediata percepibilità da parte del medesimo di situazioni di pericolo (Cass. n. 5946/2020).
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